Web 3.0
Dal 2004 è nata l'abitudine di chiamare "web 2.0" i siti in cui i visitatori generano contenuti. Adesso qualcuno vorrebbe arrivare a 3.0
Leggo sul Corriere della Sera un articolo intitolato addirittura "Arriva Adobe Air e ci porta oltre il web 2.0". L'occhiello dell'articolo sottolinea che "non sarà più necessario scaricare i software sul proprio computer". Esclamo di mezza bocca "poffarbacco" chiedendomi nel contempo come diamine* può fare un calcolatore ad eseguire un programma se prima non lo mette in memoria. Io avevo studiato ai lontani tempi dell'università che questa era addirittura una caratteristica che definisce il calcolatore elettronico. Magari i noti scienziati della Adobe sono riusciti a inventare il post-computer.
Un più attento esame del sito della società mi rivela una realtà alquanto differente. Adobe Air è una applicazione (per Mac e PC) che esegue sulla scrivania i Flash, quelle amene animazioni che di solito vediamo navigando sul web. In molti casi li vediamo per i pochi secondi necessari a individuare e premere furiosamente il pulsante "skip intro", ma questo è un dettaglio. In sostanza, Adobe Air è un motore per widget, analogo a Dashboard e all'originale Konfabulator del 2003 (ora distribuito gratuitamente da Yahoo sotto il nome Yahoo!Widgets). Semplicemente, gli sviluppatori utilizzeranno il linguaggio ActionScript invece del JavaScript -- ma non è una grande differenza perché il primo deriva dal secondo -- e disegneranno l'interfaccia usando Flash.
[*] Il gentile Lettore sarà forse solleticato nel sapere che nella mente dell'Autore nei momenti indicati non si affacciarono i termini
diamine e
poffarbacco, ma bensì altri, meno pubblicabili.
Sono felice per Adobe, e mi congratulo con tale società, per l'abilità con cui i suoi addetti alle pubbliche relazioni riescono a circuire i giornalisti del più antico quotidiano italiano. Nella speranzosa attesa che una nuova rivoluzione culturale mandi tutti coloro che hanno a che fare con la pubblicità nei campi a zappare e vangare, (sono infatti un moderato ed un uomo incruento: non potrei mai auspicare una nuova rivoluzione francese con ghigliottine a profusione) mi vengono alcune considerazioni.
Il primo web era quello dei siti vetrina, statici e immutabili. Poi è arrivato il web interattivo, programmato a mano con linguaggi come ASP, PHP e Perl. In terza battuta sono arrivati i sistemi di gestione dei contenuti e i blog, che permettevano alla gente comune di mantenersi un proprio sito senza prima passare alla facoltà di ingegneria per un corso quinquennale. Gli ultimi arrivati sono i siti in cui le schermate si aggiornano mentre il visitatore ci sta lavorando, come Google Maps o YouTube.
Dal 2004 è nata l'abitudine di chiamare "web 2.0" i siti in cui i visitatori generano contenuti: una tipologia tra le più interessanti, ma non necessariamente più nuova come la dizione farebbe pensare.
È una distinzione che tecnicamente non ha senso, per esempio taglia fuori Google Maps, che è sito recente, modernissimo e impensabile sino a poco tempo fa.
Proseguendo però nel ragionamento, io credo che "web 3.0" possa essere soltanto una cosa: un sito completamente integrato nel mondo circostante. Per un ente pubblico sarà un sito i cui contenuti attraverso la sintesi vocale sono pienamente consultabili al telefono in modo da risultare accessibili a non vedenti, anziani e altre persone che ignorano l'esistenza di Safari e Firefox. Per una azienda che si rivolge ai consumatori sarà un sito che fa commercio elettronico e permette ai clienti di scambiarsi trucchi, suggerimenti e consigli. Per un politico, un sito che non solo fa da blog, ma anche da diario e agenda pubblici degli impegni, da registro dei voti espressi in Parlamento, da centro di discussione per sostenitori e comunità locale.
Insomma, è ora di finirla con la forma mentale per cui qualcuno mette la testa su un sito, lo mette in piedi, quasi se ne dimentica, lo lascia a vegetare per qualche anno, poi lo abbatte e rinnova. Il sito 3.0 diventerà uno strumento di uso quotidiano, come le forbici. Air? Mi spiace per Adobe, ma non c'entra niente, non è neppure un sito, quindi non si può qualificarlo come "web qualcosa punto qualcosaltro". È un programma che fa uso di Internet, come tutti i programmi moderni. Bisognerebbe spiegarlo al Corriere. Parafrasando Massimo D'Azeglio: abbiamo fatto i giornali sul web, adesso bisogna fare i giornalisti.
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Luca Accomazzi è sull'Internet dal 1992, quando il web ancora non si vedeva. Però andava forte il gopher.
Originariamente pubblicato in data 25/02/2008