COME FERMARE LE FAKE NEWS (O FORSE NO)
Una ricerca sulla diffusione delle fake news sui social mostra possibili soluzioni al fenomeno, ormai sempre più diffuso
Sul web (ed in particolare nei social media) il problema delle fake news serpeggia costantemente e la disinformazione è ormai consolidata come uno dei problemi sociali del nuovo secolo. A tal proposito una recente ricerca (che potete trovare in fondo all’articolo) studia le cause dietro alla massiccia condivisione di notizie false. Uno dei possibili colpevoli è la mancanza di senso critico da parte di chi condivide le notizie: nella miriade di contenuti che raggiungono la nostra attenzione non è sempre semplice separare il vero dal mendacio, specialmente se ciò che leggiamo è in linea con le nostre ideologie o attacca i nemici dei nostri valori.
Ciò che viene osservato però è diverso: la condivisione di notizie false si imputa all’abitudine consolidata di certi utenti di condividere il più possibile al di là del contenuto. I test effettuati erano basati sul chiedere ai soggetti se condividerebbero o meno determinati titoli, alcuni veritieri e altri palesemente falsi. Tra i soggetti, attraverso dei questionari, sono stati individuati gli “habitual sharers”, ovvero coloro che condividono quotidianamente notizie e partecipano attivamente sui social media. Questo gruppo risultò significativamente più propenso alla condivisione di fake news, e non solo. In una serie successiva di test, a metà dei soggetti veniva chiesto di giudicare la veridicità dei titoli prima di condividerli, all’altra metà veniva affidato lo stesso compito, ma successivamente alla condivisione. I risultati confermarono l’ipotesi iniziale, infatti chi degli habitual sharers veniva interrogato prima della condivisione sulla veridicità delle notizie, riusciva a distinguerle meglio dell’altro gruppo. Questo, secondo i ricercatori, è dovuto al meccanismo quasi automatico di condivisione dei soggetti, che ricevono una sorta di ricompensa attraverso i social (likes, ricondivisioni, etc…). A causa di questa spinta a condividere contenuti, il giudizio di veridicità della notizia viene completamente bypassato: i partecipanti infatti, se forzati a usare senso critico prima di condividere le notizie, tendenzialmente riescono a discernere il vero dal falso. Non finisce qui: attraverso un sistema di ricompense che premia chi condivide notizie vere, i soggetti vengono “addestrati” facilmente a giudicare con accuratezza i contenuti proposti, andando a dimostrare che i limiti degli utenti o le loro preferenze politiche non sono imputabili come causa principale della diffusione di fake news.
Nella ricerca viene teorizzato un possibile nuovo meccanismo di condivisione. L’ecosistema attuale è basato su algoritmi che promuovono la popolarità dei contenuti: viene sostenuto chi è più condiviso e chi ha più apprezzamenti (il cosiddetto engagement), in sostanza chi genera più partecipazione, e quindi più traffico. L’utente è invitato a condividere il più possibile (basta un solo click) a prescindere dal contenuto della notizia. E se fossero proprio Facebook, Twitter e gli altri social a premiare gli utenti che eseguono il cosiddetto fact checking prima di condividere qualcosa, magari attraverso un sistema di ricompense?
La soluzione al problema sembra davvero semplice e rapida e la società in cui viviamo farebbe un grande passo avanti. Allora perché non è mai stato attuato un sistema simile? Tali cambiamenti potrebbero creare un clima molto più salubre sui social, ma ridurrebbero il traffico di contenuti e giustamente non conviene a chi ne trae profitto. Il problema però può essere visto anche come una conseguenza di ciò che l’utenza desidera. Se al proliferare di notizie false o manipolazioni atte a polarizzare l’attenzione delle persone in modo fine a se stesso, gli utenti abbandonassero i social, o virassero verso altri portali, certi sistemi sarebbero in funzione già da tempo — sempre in funzione di ciò che conviene dal punto di vista commerciale — o sarebbe già sorto un nuovo social di successo in cui la parola d’ordine è la qualità dei contenuti . In conclusione, social media che promuovono la veridicità dei contenuti piuttosto che disinformazione e “contentini” per gli utenti non avrebbero mercato e non molti sembrano davvero averne bisogno.
La ricerca: https://www.pnas.org/doi/10.1073/pnas.2216614120